Come educare, rapporto genitori figli.

Come educare i figli

Spesso i genitori chiedono: “sto educando bene mio figlio? O sbaglio qualcosa? cosa posso fare per aiutarlo?”

Per rispondere a queste domande sarebbe utile riflettere cercando di comprendere la tipologia di rapporto interpersonale che si è stabilito con il proprio figlio nel corso del tempo, ma non solo, perché sono tre i responsabili di un processo educativo: gli educatori, gli educandi e la società in cui si è inseriti. Sostanzialmente nell’educare si agisce il proprio vissuto interiore. È tutto molto soggettivo, non esistono metodologie e regole valide per tutti, cioè per imparare ad educare occorre conoscere innanzitutto se stessi e mostrarsi accoglienti, tranquilli, fermi, comprensivi e portatori di “valori”. Bisogna sapersi mettere in contatto con l’altro nel senso di saper ascoltare, essere disponibili anche al cambiamento, condividere e, allo stesso tempo, avere la forza di mantenere punti fermi: essere per i propri figli un punto di riferimento chiaro e certo, soprattutto oggi che i ragazzi sono frutto di una società che cambia molto velocemente anche per quanto riguarda le regole dello stare insieme, del conoscersi e rapportarsi all’altro. Tutto è molto veloce, si consuma nel tempo di un click, si hanno frequentazioni e si vive una vita virtuale. La mentalità dei ragazzi è incentrata sul presente, alla ricerca della soddisfazione veloce. Educare è una parola che deriva dal latino educere che significa tirare fuori, sviluppare, portare a compimento. Educare è un’azione pratica per cui la generazione più adulta si impegna per quella più giovane promuovendo lo sviluppo della personalità umana. Il genitore o un adulto deve porsi come maestro di vita autorevole in grado di guidare, sostenere e incitare nella chiarezza di un coerente stile di vita, deve anche mirare ad esplorare e potenziare qualità e competenze inespresse: i ragazzi hanno bisogno di sentirsi stimati e travolti da un’autentica fiducia nelle loro potenzialità, perché solo così riescono ad aprirsi e a riconoscere la validità della mediazione adulta. Per comunicare in maniera efficace con i propri figli è necessario conoscere e rileggere il proprio passato evidenziando il vissuto sia di dolore che di gioia. Conoscersi per educare è il primo passo da fare poiché la consapevolezza libera da schemi e rigidità. I figli, nella vita dei genitori, hanno un ruolo attivo poiché stimolano un impegno di crescita personale. Il genitore non deve credersi arrivato. Riconoscere i propri limiti è un modo per porsi in maniera umile agli altri; mettere da parte la superbia ed avere la possibilità di avvicinarsi al giovane che sarà maggiormente predisposto ad accettare una guida matura. Il genitore che comprende che ha un figlio con una problematica comportamentale che si cronicizza nel tempo dovrebbe capire che deve cambiare qualcosa nel suo atteggiamento educativo per poi agire una diversa relazione comunicativa. Alcuni genitori esercitano il loro amore verso i figli educandoli con i “si”, perché è più facile, non si creano scontri, inoltre, credono di agevolargli la vita, ma in questo modo sviliscono le capacità personali dei ragazzi come, ad esempio, fare esperienza dai propri errori, avere iniziativa personale e costanza nel raggiungere i propri obiettivi. Con i “no” il figlio comincia a riconoscere che nella vita ci sono delle regole e dei limiti da rispettare per il benessere proprio e di quelli che gli stanno intorno. È, altresì, indispensabile insegnare i valori e le regole della vita familiare. Invogliare il ragazzo al dovere nello svolgere dei compiti collaborativi, come ad esempio aiutare nei piccoli lavori in casa, insegna al ragazzo una graduale assunzione di responsabilità personale. Il genitore dovrebbe anche dosare bene le aspettative che ha nei confronti del proprio figlio perché eserciterà un’influenza, un’azione che seppur non dichiarata apertamente ma interiormente sentita, il figlio la “percepisce” cioè sente la fiducia o la sfiducia che il genitore ha su di lui il figlio tende ad agire sulla base di quell’aspettativa di sé e delle sue abilità, seppur negative. Il genitore dovrebbe considerare le difficoltà scolastiche o comportamentali del figlio come una fase evolutiva che può evolvere in positivo con la crescita e non come un’etichetta da appore su di lui in eterno ma come un giudizio parziale. La persona che sa educare è quella che è cresciuta dentro. Genitori che negano la fiducia o che appesantiscono lo sviluppo dei figli con uno stile educativo iperprotettivo, hanno un’immaturità personale. Vale la pena ricordare che la maggior parte degli errori si commettono in totale buona fede, quindi un genitore dovrebbe rivisitare la propria storia emotiva esperienziale per capire chi è e dove vuole andare. Un genitore trasferisce, nella sua relazione con il figlio, tutte le tensioni non elaborate nel rapporto con i propri genitori. Spesso sono proprio i figli che fanno ricomparire al genitore il proprio non risolto talvolta in maniera eclatante. Il figlio, che sia genitore o no, potrebbe lavorare su di sé attraverso questi passaggi: avere consapevolezza del rapporto con i propri genitori, individuando i nodi critici; Cercare di perdonare i genitori pensando che sono umani, che se hanno sbagliato lo hanno fatto inconsapevolmente e probabilmente perché avranno vissuto, a loro volta, delle difficoltà relazionali. Questo passaggio non è scevro da grandi dolori ma l’alternativa è essere arrabbiati tutta la vita rovinando la propria, in altre parole, bisogna comprendere che tutto serve per crescere e imparare, partendo proprio dalle nostre origini. In questo modo si rilegge la propria storia personale da un’altra prospettiva. Ciò fa del figlio una persona matura e responsabile, che ha voglia di crescere e sperimentarsi senza rimanere attaccato alla gonna della madre in una sorta di immaturità emotiva. Questi passaggi fanno capire alla persona che possiede un grande potere: è possibile decidere che “piega” dare alla propria vita. Bisogna smettere di dire: “non ce la faccio”, “non posso, è impossibile, soffro terribilmente”, perché più lo ripetiamo, più ci abituiamo a vivere nel malessere da cui non sappiamo più uscire. Dobbiamo invece credere in noi, e imparare a mettere in pratica le nostre capacità personali e operare una possibile altra scelta esistenziale. Bisogna cercare non di evitare il dolore ma nel dargli un senso: nascere più volte nel corso della nostra esistenza lasciando morire una parte di noi per far spazio a quella nuova; non significa cancellare o dimenticare il passato perché ogni esperienza rimanendo viva nella nostra memoria affettiva diventa un valore che ci caratterizza e ci da spessore. Questo è un modo responsabile e maturo di agire la propria esistenza. Crescere significa lottare per riuscire ad avere ciò che si vuole ottenere, significa realizzare la propria autonomia, maturità, occuparsi dei propri bisogni.

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